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venerdì 30 novembre 2012

La Palestina fa fallire la politica estera europea

Il voto all'Assemblea Generale dell'ONU potrà pur essere una vittoria per il futuro della Palestina, che da oggi è a tutti gli effetti uno stato osservatore (decisione che secondo molti aprirebbe la strada alla nascita di uno stato palestinese). Potrà pur essere una sconfitta per Israele. Purtroppo, dal nostro punto di vista, ad uscire a pezzi ancora una volta è l'inesistente diplomazia europea che ieri ha votato in ordine sparso sulla risoluzione. Qualcuno si era adoperato sin dalle prime ore nella costruzione di una pilatesca posizione comune, con l'astensione di tutti e 27 gli stati UE. Un tentativo fallito e che ha visto tutti i paesi della sponda mediterranea come Italia, Francia e Spagna, insieme a quelli scandinavi, votare sì. Dall'altro, l'astensione di tutti i paesi dell'est, guidati da Germania e Regno Unito, con la Repubblica Ceca che ha addirittura votato contro. Le identità diplomatiche di ogni singolo paese hanno prevalso, così come le diverse relazioni sviluppate nei decenni tra i vari stati europei e la Palestina. Che i paesi della sponda mediterranea e quelli scandinavi abbiano votato sì non costituisce di per sé una novità. Sono storici i legami tra paesi come l'Italia e la Francia con la causa palestinese e i suoi rappresentanti. Il problema risiede invece nell'astensione degli altri, un fatto che presume l'assenza di una posizione netta e chiara su un tema.



Il voto di ieri non è quindi un fallimento di per sé, ma la conseguenza del datato fallimento europeo nel non saper costruire una posizione unitaria sulla questione israelo-palestinese. E il conflitto dei giorni scorsi ne è un'ulteriore riprova. Egitto, Stati Uniti e Turchia hanno dominato la scena, mentre nessuna cancelleria europea, né tanto meno l'Alto Rappresentante della politica estera europea, Catherine Ashton, hanno dimostrato capacità diplomatiche tali da far inserire il vecchio continente nella risoluzione del conflitto. E questo per via dell'incapacità nel dar vita ad una posizione comune su un tema che riguarda una regione a noi vicina, nonché strategica per la sicurezza del continente.

Quello di ieri è il trionfo dell'Europa degli stati nazionali. Italia, Francia, Spagna e, anche se in maniera pilatesca, Germania e Regno Unito hanno dimostrato di avere una loro posizione. Mentre l'Europa nel suo complesso no. L'ennesima sconfitta per chi sogna un'Europa unita.

AV

lunedì 2 luglio 2012

Monti-Rajoy: uno spunto per la Pesc europea?


Ancora Italia-Spagna ma stavolta in chiave tutt'altro che calcistica. E' infatti fuori luogo rimuginare sulla superiorità in campo dei rojos iberici che con la tripletta europei-mondiali-europei si attestano di fatto come squadra più forte del mondo, al pari dell'imbattibile Brasile degli anni d'oro. Ma sull'alleanza Monti-Rajoy, su questo insolito asse già formatosi alla vigilia del vertice di Bruxelles del 28 e 29 giugno scorsi, va assolutamente fatta una riflessione in chiave europeistica. 
E' infatti interessante che, a poche ore dal match tra gli azzurri di Prandelli e i rossi di Del Bosque, i due premier abbiano scritto al governo di Kiev chiedendo che le delegazioni dei rispettivi paesi possano vedere Yulia Tymoshenko, ingiustamente detenuta in carcere da quasi un anno. Un gesto di politica internazionale congiunta che non solo porta i due paesi sulla stessa linea ma che dovrebbe essere lo spunto per rilanciare una poltica estera unitaria a livello europeo.

Appannata dalla crisi economica, la politica internazionale dell'Unione Europea, nella persona del suo Alto Rappresentante, la baronessa Catherine Ashton, è infatti anni luce indietro rispetto ad uno degli attuali tre pilastri della costruzione europea. Un'assenza, quella di una politica estera comune, che rischia di farci trovare per l'ennessima volta impreparati rispetto ad uno scacchiere mediorentale in continua evoluzione e che minaccia nei prossimi mesi l'irrompere di una crisi siriana. E a ben vedere la Siria non è la Libia. Russia, Turchia, Iran e Stati Uniti sono i maggiori player che la vicina Europa si troverà a dover affrontare nel caso di un conflitto armato tra Turchia e Siria, sempre che la comunità internazionale non decida - cosa che appare molto probabile ma non scontata - di intervenire tempestivamente.  Ma quale sarà il ruolo dell'Europa in tutto ciò resta ancora ignoto.

Quella di Rajoy e Monti è stata un'azione bilaterale e pertanto poco correlata ad una visione unitaria della politica estera a 27. Tuttavia, resta un buon spunto per le diplomazie del Vecchio Continente per agire in maniera coesa di fronte alle possibili crisi che il futuro imminente metterà di fronte al nostro continente. 

AV